Mentre i combattimenti si intensificano in Sudan e le Forze di Supporto Rapido si impadroniscono di El-Fasher – l'ultimo baluardo dell'esercito sudanese nel Darfur –, si moltiplicano gli appelli regionali e internazionali all'azione in mezzo a rapporti su atrocità di massa contro i civili. L'Egitto ha riaffermato il suo sostegno al popolo sudanese e ha spinto per un cessate il fuoco e una tregua umanitaria per consentire l'accesso agli aiuti. L'Unione Europea ha condannato fermamente le azioni brutali delle Rsf, avvertendo di una catastrofe umanitaria imminente.
El-Fasher, l'ultimo baluardo dell'esercito sudanese nel Darfur, è caduto sotto il controllo delle Forze di Supporto Rapido (RSF), portando a un rapido deterioramento della situazione umanitaria e a avvertimenti di una catastrofe su vasta scala. L'Egitto, attore regionale chiave, ha ribadito il suo sostegno incrollabile al popolo sudanese. Il portavoce del Ministero degli Esteri, Tamim Khalaf, ha dichiarato che il Ministro degli Esteri Badr Abdelaty ha incontrato il suo omologo sudanese Mohieddin Salem per riaffermare l'impegno dell'Egitto per la sovranità, l'unità e l'integrità territoriale del Sudan. L'Egitto è attivamente coinvolto in sforzi internazionali e regionali per mediare un cessate il fuoco e una tregua umanitaria completa, in particolare per consentire l'accesso ad aiuti critici a El-Fasher.
L'Unione Europea ha emesso una forte condanna alle azioni brutali delle RSF in città, con la responsabile della politica estera dell'Ue Kaja Kallas che ha definito il «bersaglio etnico» dei civili una violazione scioccante dei diritti umani. Kallas ha esortato entrambe le parti a de-escalare immediatamente mentre la pressione internazionale aumenta. La Francia ha espresso profonda preoccupazione per presunte esecuzioni sommarie perpetrate da combattenti delle RSF a El-Fasher e nella vicina città di Bara, chiedendo negoziati diretti facilitati dal «quad» – Stati Uniti, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – insieme all'Unione Africana e all'Ue per garantire la pace.
In uno sviluppo preoccupante, il Ministero degli Esteri sudanese ha ordinato l'espulsione di due alti funzionari del Programma Alimentare Mondiale (PAM) senza spiegazione. Il PAM ha avvertito che ciò potrebbe ostacolare gravemente le operazioni di aiuto in un momento in cui oltre 24 milioni di sudanesi affrontano l'insicurezza alimentare.
Un nuovo rapporto del Washington Post getta luce sulla scala della brutalità delle RSF, citando prove video, immagini satellitari e testimonianze oculari. Secondo il rapporto, il comandante senior delle RSF, il brigadiere generale Fathi Abdullah Idris, noto come «Abu Lolo», si è vantato di aver personalmente ucciso oltre 2.000 persone. Immagini satellitari dal Humanitarian Research Lab dell'Università Yale corroborano queste affermazioni, mostrando grappoli di corpi e macchie di sangue visibili dallo spazio – prove di esecuzioni di massa che si estendono per miglia intorno alla città.
Jacqueline Parlevliet, capo dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Sudan, ha riferito che decine di migliaia di civili sono fuggiti da El-Fasher negli ultimi giorni, mentre circa 260.000 rimangono intrappolati in condizioni terribili. Le Nazioni Unite non hanno rotte di accesso sicure alla città, e Parlevliet ha descritto la crisi come «un disastro umanitario e di protezione in rapida escalation».
La Lega Araba, il Qatar e l'Arabia Saudita hanno anch'esse condannato le azioni delle RSF a El-Fasher e chiesto un'immediata cessazione delle ostilità. La Lega Araba ha avvertito che la violenza in corso minaccia l'unità nazionale del Sudan e la stabilità regionale, esortando alla coordinazione internazionale per porre fine al spargimento di sangue.
Dall'inizio del conflitto il 15 aprile 2023 tra l'esercito sudanese e le RSF, più di 20.000 persone sono state uccise e oltre 15 milioni sono state sfollate, secondo le stime delle Nazioni Unite. Uno studio accademico statunitense suggerisce tuttavia che il bilancio delle morti potrebbe superare i 130.000. Il capo dell'esercito sudanese Abdel Fattah al-Burhan ha ripetutamente giurato di non deporre le armi fino alla sconfitta delle RSF, rifiutando qualsiasi processo di pace che conceda a questo gruppo paramilitare un ruolo politico nel futuro del Sudan, lasciando le prospettive del paese sempre più incerte e volatili.