Cuba oggi somiglia all'età della pietra secondo un cronista

In un pezzo di opinione, il cronista cubano Eduardo N. Cordovi Hernández paragona le condizioni di vita attuali a Cuba all'Età della Pietra, sottolineando l'assenza di comodità moderne. Descrive un quartiere in cui le persone sentono che è la fine del mondo e cita dati ONU sulle popolazioni isolate. Un amico scherza dicendo che in alcune parti di Cuba le persone sognano di essere riscoperte dalla civiltà.

Eduardo N. Cordovi Hernández, nel suo diario pubblicato su Havana Times il 26 ottobre 2025, usa il termine «Età della Pietra» in modo informale per illustrare le difficoltà quotidiane a Cuba, riconoscendo che nei circoli accademici è stato superato da storici, archeologi e antropologi. Spiega che in quell'era preistorica le persone dormivano in caverne se erano fortunate, cacciavano per la carne, si coprivano con pelli animali in inverno e mancavano di negozi, luci elettriche, acqua corrente, gas per cucinare, trasporti pubblici o ospedali; invece, si affidavano a tisane, frizioni e aiuto divino.

«Per farla breve – e con un po' di immaginazione – era molto simile alla vita oggi a Cuba», scrive Hernández. Nel suo quartiere, molti pensano che debba essere la fine del mondo, anche se per alcuni lo è già stata, ma sottolinea che è l'inizio e che i cambiamenti duraturi sono lenti. Nessuno cambierà le cose per loro, avverte, e esorta a non aspettare o forzare, poiché i frutti non maturano battendoli con un bastone.

Secondo le cifre ufficiali dell'ONU, tra 100.000 e 150.000 persone vivono in condizioni simili in tutto il mondo, sparse in gruppi in luoghi come l'Amazzonia brasiliana o la Nuova Guinea. Hernández paragona quella popolazione a città come Reims in Francia, Salamanca in Spagna, Escondido in California o Miramar in Florida. In una chiacchierata con amici su comunità isolate – alcune ostili, altre riluttanti a integrarsi – uno ha detto, mezzo scherzando mezzo serio: «Ci sono già posti a Cuba dove molte persone sognano che la civiltà ci riscopra.» Questa riflessione cattura un sentimento diffuso di isolamento e desiderio di progresso.

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